
ROSA Salvator
(Napoli 1615 – Roma 1673)
Pittore, incisore, teatrante e poeta satirico napoletano, nato ad Arenella nei pressi di Napoli, figlio di un avvocato Vito Antonio De Rosa e di Giulia Greco, che prevedevano per lui studi di avvocatura o, in alternativa, una carriera ecclesiastica.
Per questo, alla precoce morte del padre, il nonno Vito Greco lo ha mandato a studiare, insieme al fratello Giuseppe, in un collegio religioso.
Ben presto però Salvatore ha manifestato il suo interesse per l’arte così che è stato avviato ad apprendere i primi rudimenti della pittura da uno zio materno per poi passare a lavorare con il cognato pittore Francesco Fracanzano, poi ancora con Aniello Falcone e infine con Jusepe de Ribera.
All’età di diciassette anni ha perso il padre e sua madre, con almeno cinque figli, era in ristrettezze economiche così che Salvatore ancor giovane si è trovato senza sostegno finanziario.
Nel 1634 si è spostato a Roma, forse su consiglio del pittore Giovanni Lanfranco, dove ha aderito alla corrente pittorica dei Bamboccianti che successivamente ha abbandonato. Già in questo periodo il Rosa fu tra i primi a dipingere paesaggi in cui si inserivano elementi “proto-romantici”.
Contemporaneamente Salvatore si è dedicato anche alla coreografia, allestendo le scene di spettacoli carnascialeschi di carattere satirico, collaborando con Claude Lorrain e Pietro Testa e facendo la conoscenza del Bernini, con cui però si trovava spesso in disaccordo.
Nel 1636 l’artista è ritornato nella sua città, Napoli dove ha continuato a dedicarsi all’esecuzione di paesaggi con scene che rappresentano vere e proprie anticipazioni del romanticismo pittorico, con soggetti movimentatidi soldatiche, spesso drammatici, gli sono valsi l’appellativo di “Salvator delle battaglie”.
Fatto ritorno nuovamente a Roma nel 1638, fu ospite del cardinale Francesco Maria Brancaccio che, vescovo di Viterbo, lo condusse a dipingere nella città laziale l’Incredulità di Tommaso, suo primo lavoro di arte sacra, per l’altare della Chiesa Santa Maria della Morte.
Nel 1639 Fu chiamato a Firenze come pittore alla corte di Mattia de’ Medici e per il quale dipinse battaglie, paesaggi e vedute fantastiche. Carattere multiforme, oltre ad eccellere nella pittura e nell’incisione egli è stato spadaccino, spavaldo e vanaglorioso come un ‘guappo’.
Questa molteplicità di anime e di talenti del Rosa ha colpito le fantasie romantiche e gli ha procurato grande fortuna e popolarità tra Sette e Ottocento con una miriade di imitatori sia nei dipinti sia nell’incisione.
Il Romanticismo europeo, e in particolare inglese, costruì intorno a Salvator Rosa il mito dell’artista cupo e tenebroso, guascone, alchimista, filosofo e brigante arrivando a stravolgerne la reale fisionomia storica.
Le sue opere pittoriche sono sparse nei più prestigiosi musei del mondo e le sue stampe sono ancora oggi tra le più apprezzate e ricercate.
Nella sua opera incisa, circa centodieci rami, si avvertono gli influssi di Jusepe de Ribera, Pietro Testa, Giovanni Benedetto Castiglione, Pier Francesco Mola.
Famosa le serie delle sessantadue Diverse figure, di piccole dimensioni, così come le lastre di maggior formato, Il Genio di Salvator Rosa, Giasone e il drago, Diogene che getta la scodella, e tante altre fino alla enorme tavola della Caduta dei giganti.
Opere che talvolta sono state incise con lo scopo di ottenere commissioni pittoriche che spesso però non arrivavano proprio come nel caso della Caduta dei giganti.
Morto all’età di 57 anni le sue spoglie sono sepolte a Roma in Santa Maria degli Angeli.